Il 28 novembre mi imbarco per una gita organizzata a Napoli considerato che, effettivamente, in questa famosa città non ci sono mai stata. Nella presentazione dell’evento si faceva riferimento a diverse tappe, prima tra tutte il mercatino natalizio che puntualmente affolla via di S. Gregorio Armeno durante le feste, prevedendo anche un’eventuale sosta al Cristo Velato nella cappella Sansevero.

vista sullo stabilimento industriale e sull’Isola di Nisida
Di fatto, come ogni gita che si rispetti, alle soglie della città abbiamo accolto quella che sarebbe stata la nostra guida per la prima parte della giornata: spigliata, allegra, pronta a raccontarci qualche chicca lungo il percorso, mano a mano che si avvicinava la prima, classica, sosta panoramica: l’affaccio su Bagnoli. Napoli ci mostra, indifesa, uno dei suoi primi punti deboli: lo spettro di un ex-impianto siderurgico, quello dell’ILVA-Italsider, definitivamente chiuso negli anni ’90 e in attesa di essere smantellato. Ma la guida riparte fiduciosa ed entusiasta col suo discorso, mostrandoci uno dei vanti della città: lo stadio S. Paolo (di cui ascolto distrattamente qualche notizia). In realtà la mia attenzione si rivolge verso qualcosa che assolutamente stona con quel contesto così edificato e pieno di cemento: tirando un profondo respiro, come se ancora potessi sentire l’odore delle ciminiere al lavoro alla vista dei penosi resti, scorgo l’isola di Nisida, anche detta l’isola che non c’è, collegata com’è alla terraferma da un pontile, che parte dalla spiaggia di Coroglio. Oggi sede di edifici militari e di un carcere minorile, storicamente pare che abbia ospitato Bruto e Cassio per la pianificazione del complotto contro Giulio Cesare.

Castel dell’Ovo
Tra una chiacchiera e l’altra si torna sul pullman e ci inerpichiamo fino a Posillipo, forse il colle più famoso di Napoli, con le sue prestigiose ville, gli edifici eleganti e una vista mozzafiato sul golfo (d’altronde nell’origine del suo nome echeggia una grande virtù: Pausilypon, “riposo dagli affanni”), offerta da via Petrarca. Mentre mi godo il panorama spostandomi lungo l’affaccio, ascolto la pittoresca storia su Castel dell’Ovo :pare che il suo nome derivi da un’antica leggenda secondo la quale il poeta latino Virgilio, nel medioevo considerato anche mago, avrebbe nascosto nelle segrete dell’edificio un uovo che mantenesse in piedi l’intera fortezza; la sua rottura avrebbe causato anche una serie di catastrofi alla città. Durante il XIV secolo, al tempo di Giovanna I, il castello subì ingenti danni e, per rassicurare la popolazione in merito alle presunte disgrazie che avrebbero colpito Napoli, la regina fu costretta a giurare di aver sostituito l’uovo. Qui dove sorge il castello pare sia morta la sirena Parthenope, forse dopo un rifiuto da parte di Ulisse. La seconda leggenda è forse quella più diffusa: narra di una bellissima principessa greca, ovviamente Partenope, innamorata del suo Cimone. Amore contrastato dal re suo padre, che invece l’aveva promessa in sposa a un altro pretendente. I due decìdono allora di fuggire su una nave verso l’ignoto, sbarcano poi per loro fortuna sul litorale campano e qui la leggenda vuole che vìvano finalmente la stagione del loro amore, in una terra dolce di fiori e di luci dove la primavera è eterna.

Facciata principale, che necessita di pulitura
La tappa successiva è finalmente il centro storico, precisamente piazza Matteotti. Entrando in città salta all’occhio il gran numero di impalcature addossate agli edifici storici, segno che progetti per il restauro e la pulitura sono rimasti in sospeso. Proseguendo per via Monteoliveto, giungiamo alla piazza del Gesù Nuovo per la visita all’omonima chiesa. Colpisce immediatamente la resa della facciata con bugne piramidali in piperno, dall’incredibile durezza, tipicamente usate per i palazzi rinascimentali. Già, perché in realtà questa facciata caratteristiche non è altro che la conseguenza della rinfunzionalizzazione di quello che fu il palazzo di una delle più illustri famiglie napoletane del XIV secolo: i Sanseverino.

particolare delle incisioni sui conci
Questa città di credenze ci racconta di un mistero legato ai segni che compaiono sul bugnato, che sembrerebbero essere stati realizzati da esperti maestri della pietra, cultori dell’esoterismo. La leggenda vuole che chi fece edificare il palazzo, un Sanseverino, intendesse caricare i conci di energia positiva, così da convogliarla dall’esterno all’interno ma, a causa di un’imperizia o per malizia dei costruttori, le pietre segnate non furono posizionate correttamente. Si ebbe così l’effetto opposto: il magnetismo positivo si spostò dall’interno all’esterno dell’edificio, attirando ogni genere di sciagura sul luogo (dalla confisca dei beni dei Sanseverino, alla distruzione del palazzo, dall’incendio della chiesa, ai ripetuti crollo della cupola, alle varie cacciate dei Gesuiti,..). Continuando la visita all’interno dell’edificio, forte è stato il contrasto con quello che è il trionfo del barocco napoletano, i cui interventi decorativi oscillano tra il pieno Seicento e la metà del Settecento. In realtà per chi è del settore e, sicuramente, per molti assidui turisti, questa non sarà una novità: grandi centri nascondono sempre storie gloriose, tormentate, e, ricche di apparenti incoerenze stilistiche che si riducono alla costante necessità di adattarsi alle richieste di un committente (come nel caso di un edificio sacro) o semplicemente ad esigenze di crescita e sviluppo della città, discorso che a Napoli più che mai si fa sentire.

cappella Sansevero
La gita fuoriporta è continuata alla cappella Sansevero, dove finalmente ho avuto modo di presentarmi al famoso Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, datato al 1753. La cappella è di difficile interpretazione: si tratta di un tempio massonico ideato da Raimondo di Sangro, settimo principe della famiglia Sansevero. Qui dove campeggiano figure di Virtù, tappe di un cammino spirituale che conduce ad una migliore conoscenza e al perfezionamento di sè (tra l’altro nove di queste dieci figure allegoriche sono dedicate alle consorti di famiglia, ad eccezione del Disinganno, dedicata al padre del principe Raimondo). Il mio vuole essere semplicemente uno spunto e, augurandomi che anche uno solo di voi voglia approfondire l’argomento, direi di lasciare la cappella Sansevero per la mia prossima meta.

Napoli Sotterranea, ricostruzione della cava di tufo
La guida ci saluta all’uscita e ci ricorda di passare per via di S. Gregorio Armeno, per dare uno sguardo ai mercatini (e chi se lo dimentica? Fino a prova contraria doveva essere il punto focale della nostra gita) e ne approfitto per visitare “Napoli Sotterranea”, la vera chicca della giornata. Si tratta di un percorso tra camere e gallerie ipogee le cui origini risalgono a circa 5.000 anni fa, quasi alla fine dell’epoca preistorica. Qui i greci, nel III secolo a.C., aprirono le prime cave sotterranee per l’estrazione del tufo indispensabile all’erezione di templi e mura nella loro Neapolis, cave che i romani, in età augustea, ampliarono in vere e proprie gallerie per il trasporto dell’acqua dalle sorgenti del Serino , a 70 km dal centro di Napoli. Solo agli inizi del XX secolo si smise di scavare per l’approvvigionamento idrico, così la rete di cunicoli e cisterne, per una superficie di 2.000.000 m2 fu abbandonata finché, durante la Seconda Guerra Mondiale, non se ne fecero rifugi antiaerei. Il percorso è molto suggestivo, tra cunicoli stretti, a volte bui, e la possibilità di percorrerli con l’ausilio di candele. Le gallerie si aprono improvvisamente in zone ad ampio respiro, alcune colme d’acqua, altre che portano ancora vivi i segni della guerra: messaggi incisi sulla pietra, teche piene di oggetti abbandonati e l’immancabile bomba che minacciosamente incombe, sospesa a pochi metri dal soffitto.

Napoli sotterranea, piscina
Ma, incredibilmente, la storia di questo sito non si esaurisce in un semplice museo: in occasione della Settimana del Pianeta Terra, si è da orto, sfruttando umidità e microclima delle cave, lontano dalle piogge acide e dalle polveri sottili. Una Napoli che non ti aspetti, quella nascosta a 40m di profondità.
Il percorso però continua e, tornati in superficie, ci spostiamo presso il vascio (letteralmente “monolocale costruito a livello stradale”) del signor Vittorio, nella parte sottostante il vico Cinquesanti. A prima vista sembrerebbe una comune abitazione ancora arredata con macchina da cucire, quadri, qualche mobiletto e un letto, cui è curiosamente legata una corda. Beh, tirando questa corda il letto si sposta, rivelando una botola che cela l’ingresso alle cantine, dove il proprietario teneva al fresco le scorte di vino.
Ma gli scomparti semicircolari che ospitavano le bottiglie rivelano una ben diversa natura: si tratta dello spettro di un antico teatro greco-romano del I secolo a.C., che forse ospitò l’esibizione napoletana dell’imperatore Nerone, prima di un violento terremoto (62d.C.). Immaginare l’originaria vastità del complesso oggi è impossibile, a seguito dell’interramento e abbattimento di questa e molte altre strutture coeve, dovuto ad un provvedimento spagnolo che, nel 1660, permise l’edificazione in un qualsiasi punto della città (un’altra delle piaghe di Napoli). La cantina altro non era che l’antico spogliatoio dove gli “attori”, rigorosamente maschi”, si cambiavano freneticamente tra una scena e l’altra. La visita all’anfiteatro si è conclusa in un uno slargo, un ex-garage per motorini, dove campeggia, in alto, un blocco di cemento armato incassato tra i mattoni d’epoca romana. Si tratta del profilo di un appartamento, attualmente abitato, che avrebbe dovuto affacciarsi all’interno del sito archeologico, la cui finestra è stata murata con nonchalance, per svincolarsi dall’eventualità di dover dare spiegazioni sul singolare affaccio. Come si è arrivati ad una tale stratificazione?

Napoli Sotterranea, la botola che introduce al teatro
E’ possibile che, nonostante tra il 1881 e il 1891 sia stata portata alla luce parte della cavea e le indagini condotte con metodi scientifici abbiano consentito nel 1985 di rilevare accuratamente e isolare le strutture murarie di epoca romana, sia sia dovuto aspettare il 1997 per esplorare l’area? Un lasso di tempo così importante ha permesso che il sito venisse inglobato in strutture abitative, ancora occupate. Si parla di “Risanamento” inteso come il grande intervento urbanistico che mutò radicalmente e definitivamente il volto della maggior parte dei quartieri storici della città di Napoli, in spesso, per quartieri come Chiaia, Pendino, Porto, Mercato, Vicaria, sostituendo quasi totalmente le preesistenze con nuovi edifici, nuove piazze, nuove strade. L’intervento, ipotizzato sin dalla metà dell’Ottocento, fu portato a compimento a seguito di la gravissima epidemia di colera del 1884. Sotto la spinta del sindaco di allora, Nicola Amore, nel 1885 fu approvata la Legge per il risanamento della città di Napoli allo scopo di risolvere il problema del degrado di alcune zone della città che era stato, secondo il sindaco Amore, la principale causa del diffondersi del colera.

Napoli Sotterranea, gradinate del teatro greco-romano addossate ad abitazioni
Si decise l’abbattimento di numerosi edifici per fare posto al corso Umberto, alle piazze Nicola Amore e Giovanni Bovio (piazza Borsa) e alla Galleria Umberto I. In realtà alle spalle dei grandi palazzi umbertini la situazione rimase immutata: essi servirono a nascondere il degrado e la povertà di quei rioni piuttosto che a risolverne i problemi.
E’ quindi arrivato il momento di dirigersi velocemente verso la “via dei Presepi”, con poco più di un’ora a disposizione prima della partenza e un fiume umano da dover affrontare. Mi sono letteralmente lasciata trascinare dalla corrente, lanciandomi faticosamente tra una “riva” e l’altra della strada alla ricerca di un souvenir per il Presepe. Provata da quest’ultima fatica salgo sul pullman e, appoggiata pigramente sul bordo del finestrino, rubo un ultimo scatto.